Storia del Comune

Situata a 37 Km da Crotone e confinante con i comuni di Petilia Policastro, Caccuri, Cotronei, Cutro, Mesoraca, Santa Severina e San Mauro Marchesato, Roccabernarda è un ameno paesino del Marchesato.
Il suo territorio comprende 65,52 kmq e si trova a 174 m. sul livello del mare. A partire dal centro storico, ubicato su una collina, l’abitato declina dolcemente diramandosi da un lato ai piedi della Sila Piccola e dall’altro a sinistra del fiume Tacina.
Discussa è l’origine di Roccabernarda.
Chiamata anticamente Rocca di Taceria, venne successivamente denominata Roccabernarda da Bernardo del Carpio discendente dal re di Francia Carlo il Calvo ed in omaggio al fondatore si sarebbe chiamato, dal XII sec. in poi, Roccabernarda; tuttavia, il ritrovamento occasionale, in contrada Serrarossa, di reperti di età greca e romana, fa ipotizzare che il territorio sia stato anticamente abitato e sia stata una stazione dei Crotoniati in una particolare itinerario di cui abbiamo indirettamente una prova con la sopravvivenza dell’antica e importante fiera di Mulerà, che nei tempi passati, doveva essere baricentro per i mercati esistenti. Fu feudo dei Ruffo, del Centelles, dei Carafa, dei Filomarino che la tennero fino alla legge eversiva del 1811. Nei tempi dovette avere un’importanza particolare, che oggi ci sfugge, se l'imperatore Federico aveva concesso a Roccabernarda il privilegio di esigere 25 “carlini” per ogni mandria che transitava nel suo territorio e il diritto di ormeggio nel porto per tutti i “legni” che approdavano nel porto di Le Castella.
L'economia è a carattere prevalentemente agricolo, basti pensare ai vasti aranceti che si susseguono lungo il fiume Tacina, i settori economici di Roccabernarda riguardano soprattutto l’agricoltura, l’allevamento, l’artigianato.
Di particolare qualità è l’olio e i prodotti da esso derivati, che si ottengono in queste terre. Stentano invece a decollare le attività di cooperazione e turistiche nonostante il suo territorio si trovi sul limite di Monte Fuscaldo, tra Santa Severina e San Mauro Marchesato, area ricca di boschi secolari, sorgenti d’acqua e popolata da una grande varietà di fauna.
Di particolare importanza sono i prodotti derivati dalla zootecnia, provole, formaggi, ricotte, “sciungate” prodotti artigianalmente dai pochi contadini rimasti.
L'artigianato. Fiore all’occhiello dell’artigianato locale sono i lavori femminili che vanno dalle esecuzioni al telaio, all’uncinetto, dal ricamo alle opere d’intreccio e di applicazione. Non meno importanti sono però i lavori d’artigianato maschili eseguiti con la tecnica dell’intarsio e del tornio.

Briganti: a Roccabernarda c'era la banda del Repulino
“Il pretesto d'allora era Patria e Legge. E Patria e Legge avevano diritti e non doveri e volevano il sangue dei figli della miseria. " "Ma vi era forse una legge uguale per tutti? Non si direbbe. Non parliamo di questo gigante mostruoso, poiché la legge locale non è mai esistita, non esisterà fintanto che Iddio non ci sterminerà tutti". Queste considerazioni, ricavate da un diario di un famoso brigante dell'Ottocento, Carmine Crocco, ci danno un'idea dello stato pietoso in cui era costretta a vivere tanta povera gente nel sud dell'Italia. Il fenomeno del brigantaggio si manifesta quando l'autorità dello Stato è debole e manca un'organizzazione militare regolare ed efficiente. Così in Italia e nel Meridione, in special modo al tempo delle milizie mercenarie il brigantaggio trasse alimento dai bassi strati della popolazione e fu allora che gruppi di contadini angariati dai padroni e oppressi dal fisco, abbandonarono i loro villaggi e guidati da un capo si buttarono alla macchia, e rubavano, uccidevano, imponevano taglie, forti delle simpatie, dell'appoggio, dell'omertà che sapevano di trovare nelle classi più umili. Particolare rilievo per il suo carattere ha il fenomeno del brigantaggio nella Calabria negli anni precedenti e immediatamente seguenti al 1860.
Ma chi erano questi personaggi che infestarono per decenni buona parte del Meridione? Quali erano le cause che li spingevano a darsi alla macchia e perché riuscivano a tenere testa alle forze dell'ordine?
Chi erano è presto detto: gente affamata, quasi sempre ignorante, per la più gran parte braccianti e contadini che vivevano in condizioni disperate. Praticamente non avevano altra soluzione che vivere di rapine. Roccabernarda, come altri paesi vicini, ebbe pure la sua banda di briganti. Si hanno infatti documenti ed i più anziani raccontano ancora avventi e fatti che possono essere presi in seria considerazione . Il brigantaggio, in quei tempi, era ben organizzato anche nelle nostre zone.
"Il brigantaggio, dunque - si legge in un documento si è organizzato, ha uno scopo, vuole una casa per mantenere la sua armata e la vuole in campagna, nei boschi, sui monti. .. Ed il popolo segue con occhio di amore l'infame accozzaglia, ed il Roccabernarda già sapeva alla vigilia ciò che dovesse seguire alla dimane, e la dimane correva a far bottino delle carni degli animali uccisi, non dando tempo ai vaccari di depellare le bestie, ringraziando Dio di quello scialo e pregandolo propizio ai benefattori dei poveri".
Il brigantaggio viene quasi sempre presentato in negativo, come organizzazione di bande criminali dedite ai sequestri, ai ladrocini. Si dimentica però che a volte è stato un fenomeno di rivolta verso un sistema politico.
Molti uomini e anche donne (le brigantesse) si diedero alla macchia, assistiti e protetti, molto spesso, dalla popolazione che così agiva non tanto per paura quanto per solidarietà ai capi. Dunque il brigantaggio viene vissuto come conseguenza della insopportabile arroganza baronale, dell'ingiustizia sociale del tempo, della lotta impari dei deboli contro il muro innalzato dai potenti. E si diventa spesso involontari ribelli per sete di giustizia, per orgoglio e per fame. Per intimidire i ricchi, anche qui da noi, le bande bruciavano fattorie e uccidevano bestiame. Una conferma la troviamo in una pagina di Padula (Il brigantaggio in Calabria 1864-65):
"Il giorno 24 luglio (1864) presso il fiume Tacina in località Serra Rossa, agro di Roccabernarda, ad una gittata di pietra della strada pubblica 24 briganti vestiti da guardie nazionali danno addosso ai vaccari del signor Albani ed impongono loro di aggregare agli animali nel parco. Furono inutili le preghiere ... Sessanta vacche furono accoppate e 40 ferite". A questa spedizione punitiva nei confronti dell'onorevole Albani oltre alla banda capeggiata da Vincenzo Spinelli di Petilia Policastro hanno preso parte anche gli uomini del 'Repulino' di Roccabernarda.
Il 'Repulino' capo audace e spericolato, si era stabilito con la sua banda (pare composta da 7 uomini) sulle accidentate pendici della valle di maggesi (oggi valle du Repulino) in un'ampia e profonda grotta ancora esistente. La grotta scavata nella roccia era ben celata da secolari alberi ed intricate sterpaglie. Le solite scorrerie, le solite ruberie, i soliti ordini e messaggi con avvertimenti scritti: "I padronali che tengono bestiami saranno pregati di mandare somme alle dette vaccherizze. Se non si trovano le dette somme saranno strutti da capo a piedi". Il preciso casato del capo banda di Rocca non si conosce: forse Berardi, Bernardi, Sinardi o forse Pulerà. "Repulino" è il soprannome e vuol significare uomo audace e svelto come una lepre. La conferma del soprannome la si può dedurre dal fatto che ci è stato raccontato e che riportiamo:
"La banda era stata decimata, messa alle strette. Qualcuno dei briganti catturato e messo sotto torchio aveva indicato il luogo del nascondiglio. Un giorno, la mattina delle Palme, correva l'anno 1865, avvenne che il "Repulino" venne circondato da una squadriglia di guardie e proprio nelle immediate vicinanze della grotta. Braccato tentò, e ci riuscì di distrarre le guardie con queste parole:
"Nun me chiamati cchù lu Reputino chiamatime ranunchio de pantanu ma si me dati largu quantu nu carrinu videre ve fazzu lu munnu de chianu."
"Così dicendo, con l'agilità e la sveltezza di una lepre, si aprì un varco fra le guardie, e ferendone due, si infilò nella grotta e scomparve. La grotta venne piantonata per parecchi giorni ma del "Repulino" non si ebbero mai più notizie".
La scomparsa di questo personaggio segnò la fine del brigantaggio nel Marchesato. Per molti contadini del luogo che vedevano nei briganti i vendicatori dei loro torti finì un'epoca di incubo, per altri, maggiormente per i padroni, finì un'epoca di terrore e di minacce. orse la cultura popolare ha un po' deformato, rendendo leggendarie le vicende dei personaggi reali, facendoli apparire ora eroi ed ora spregiudicati e malvagi. Però, bisogna pur dirlo, parecchie ribellioni dei briganti si sono tradotte in realtà e la rivoluzione creata dal processo unitario italiano del 1860, non è riuscita a far cambiare le cose, ma le ha anzi, consolidate.

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